Con la sentenza n. 5339 depositata oggi il Supremo collegio ha cancellato l'illusione di poter trasformare questo tipo di incontri periodici in un far-west: «il mero contesto dell'assemblea condominiale, per quanto infuocato – hanno scritto i giudici – non può di per sé dare corpo alla causa di non punibilità della reciprocità delle offese o dello stato d'ira per un fatto ingiusto altrui dal momento che l'una o l'altra delle situazioni può o può anche non verificarsi in un contesto del genere di quello evocato».
A nulla sono dunque valse le proteste dell'imputato che aveva tentato di far valere come giustificazione una vecchia ruggine dimostrata anche da precedenti liti giudiziarie con l'ingiuriato. Secondo il ricorrente gli ermellini nel condannarlo non avevano neppure tenuto conto del fatto che tutti i testimoni a suo carico appartenevano alla "fazione" contraria in quanto amici del suo rivale. L'ultima carta per evitare la condanna era stata giocata cercando di far passare il termine "bandito" non come un insulto ma come la manifestazione di una semplice critica da parte di chi si sentiva vessato «da una situazione offensiva e pregiudizievole per i suoi interessi di condomino». Il diverso avviso del Collegio ha portato alla condanna. Anche perché è mancata la prova delle espressioni ingiuriose con cui la persona offesa avrebbe a sua volta insultato il ricorrente.
Fonte: Patrizia Maciocchi de Il Sole 24 Ore
